In premessa, la Suprema Corte di Cassazione chiarisce come – concordemente con quanto sostenuto dalla difesa e in ossequio all’autorevole e condivisibile orientamento di legittimità – il provvedimento di adozione di prescrizioni ai sensi dell’artt. 20 D.lgs. 758/1994 e 15 D.lgs. 124/2004 non sia da qualificarsi come atto di natura amministrativa ma, contrariamente, quale atto di polizia giudiziaria essendo lo stesso emanato dall’organo di vigilanza nell’esercizio della funzioni di cui all’art. 55 c.p.p.; da ciò, però, non discende l’obbligo di traduzione di cui all’art. 143 c.p.p. a favore dell’imprenditore-contravventore alloglotta in quanto, da un lato, il su menzionato provvedimento non rientra nel novero degli atti tipici previsti nella disposizione richiamata e, dall’altro, lo stesso non contiene l’imputazione, cristallizata nell’atto di esercizio dell’azione penale da parte dell’organo di accusa.
D’altro canto, stante il principio per cui “ignorantia legis non excusat”, l’operatore del settore è tenuto a conoscere non solo le norme legislative e regolamentari che disciplinano la propria attività ma anche le conseguenze penali che dalla violazione delle stesse potrebbero derivare nonché le scansioni procedurali previste dall’ordinamento per l’estinzione del reato.
Sotto altro punto di vista, infine, sebbene non tradotto, l’atto di prescrizione è comunque esistente e, pertanto, non è in grado di incidere – in termini di improcedibilità – sull’azione penale esercitata dal pubblico ministero.
Cass. Pen., Sez. III, 11 Maggio 2020 – Ud. del 13.11.2019 – n. 14214