Archivi categoria: Sicurezza sul lavoro

News Sicurezza – Sull’obbligo di nomina preventiva del medico competente anche in ipotesi in cui il DVR non evidenzi necessità di sorveglianza sanitaria: il Ministero del Lavoro risponde all’interpello di ANP

E’ stato richiesto all’apposita Commissione in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro se – in tutte le aziende e, in particolare, nelle Istituzioni Scolastiche – sia necessario provvedere alla nomina preventiva del medico competente – allo scopo di coinvolgerlo nella valutazione dei rischi – anche nel caso in cui quest’ultima non abbia evidenziato alcun obbligo di sorveglianza sanitaria.

A tal proposito, la Commissione istituita presso il Ministero del Lavoro – dapprima richiamando le disposizioni di cui agli artt. 2, 17, 18, 25, 28, 29 e 41 D.lgs. 81/2008 – ha chiarito come, a norma della previsione di cui all’art. «18, comma 1, lett. a) del decreto legislativo n. 81 del 2008, la nomina del medico competente sia obbligatoria per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria nei casi previsti dall’art. 41 del citato decreto legislativo n. 81 del 2008 e che, pertanto, il medico competente collabori, se nominato, alla valutazione dei rischi di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a) del decreto legislativo n. 81 del 9 aprile 2008».

Ministero del Lavoro – Commissione per la salute e sicurezza sui luoghi di lavoro – Interpello n. 2/2023 avente ad oggetto «Interpello ai sensi dell’articolo 12 del d.lgs. n. 81/2008 e successive modificazioni, in merito all’ “Art. 25 comma 1 lettera a) – Art 18 comma 1 lettera A – Art. 29 comma 1 del D. Lgs. 81/08”».

News Sicurezza – Sulla possibilità di individuare medici competente ulteriori a quelli nominati per la sede di originaria assegnazione in caso di lavoratori in smart working dal proprio domicilio: il Ministero del Lavoro risponde all’interpello di Confcommercio

E’ stato richiesto all’apposita Commissione in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro se sia possibile per i datori di lavoro continuare attivamente la sorveglianza sanitaria dei lavoratori videoterminalisti che operano in smart working dal proprio domicilio o, comunque, da sedi anche molto lontane da quella di originaria assegnazione mediante l’individuazione di medici competenti ulteriori e diversi da quelli già nominati, dislocati in luoghi prossimi alla sede di lavoro effettiva e, comunque, «specificamente individuati per apposite aree territoriali (provincie e/o regioni) e appositamente nominati esclusivamente per tali aree e per le tipologie di lavoratori operanti da tali aree».

A tal proposito, la Commissione istituita presso il Ministero del Lavoro – dapprima richiamando le disposizioni di cui agli artt. 2, 3, 18, 25 e 39 D.lgs. 81/2008 e 22 del D.lgs. 81/2017 – ha chiarito come la previsione di cui all’art. 39 TUSL ammetta la possibilità di nominare più medici competenti, individuandone uno con funzioni di coordinamento, solo allorquando si tratti di «aziende con più unità produttive», «gruppi d’imprese nonché qualora la valutazione dei rischi ne evidenzi la necessità».

Ne consegue l’impossibilità di ricondurre la nomina di più medici competenti alla previsione da ultimo richiamata; previsione che, chiarisce la Commissione, qualora operante vede riconosciuto in capo ad ogni singolo medico nominato tutti gli obblighi e le responsabilità previste dalla legge.

Ministero del Lavoro – Commissione per la salute e sicurezza sui luoghi di lavoro – Interpello n. 1/2023 avente ad oggetto «Interpello ai sensi dell’articolo 12 del d.lgs. n. 81/2008 e successive modificazioni, in merito alla “nomina del medico competente in relazione ai lavoratori in smart working”»

News Sicurezza – “Ogni” datore di lavoro, pur se subappaltatore, ha l’obbligo di adottare misure di prevenzione e protezione contro “tutti” i rischi lavorativi, anche quando dovuti ad interferenza e anche se l’organizzazione dei luoghi di lavoro sia sottoposta ai poteri direttivi di altri

Per quanto qui di interesse, la sentenza in parola prende le mosse da una pronuncia di condanna emessa nei confronti di un soggetto ritenuto responsabile, in qualità di legale rappresentante dell’impresa deputata alla gestione di un magazzino, di aver omesso di proteggere le aree di lavoro e di passaggio dal rischio di caduta di materiali dall’alto.

A parere della difesa ricorrente, il giudice di primo grado aveva errato nel ritenere integrato il reato di cui all’art. 68 comma 1° lett. b) D.lgs. 81/2008 in riferimento agli artt. 63 comma 1°, 64 comma 1° lett. a) e punto 1.8.1 dell’Allegato IV del citato Decreto in quanto il rischio concretizzatosi aveva natura interferenziale e, in quanto tale, di competenza del committente, l’unico avente la disponibilità giuridica dei luoghi di lavoro nei quali impartiva le direttive in materia di salute e sicurezza suoi luoghi di lavoro.

Dapprima richiamando le specifiche disposizioni e l’orientamento giurisprudenziale maturato sul punto, la Suprema Corte di Cassazione è giunta a ribadire, anche in considerazione degli artt. 17 e 28 D.lgs. 81/2008 i quali impongono ad ogni datore di lavoro l’onere di effettuare la valutazione dei rischi lavorativi e di adottare le misure di prevenzione e protezione idonee ad evitare suddetti rischi, come «ogni datore di lavoro, pur se subappaltatore, ha l’obbligo di osservare le disposizioni sulla sicurezza dei luoghi di lavoro e, quindi, deve adottare idonee misure di prevenzione e protezione contro “tutti” i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa, anche quando questi siano dovuti alle “interferenze” con l’attività di altre imprese, ed anche quando l’organizzazione del luogo di lavoro resta sottoposta ai poteri direttivi dell’appaltatore o del committente».

D’altro canto, prosegue la Corte, non vale a negare tale assunto il disposto di cui all’art. 26 il quale, se da un lato pone esclusivamente a carico del datore di lavoro committente l’elaborazione del documento di valutazione del rischio interferenziale, dall’altro statuisce obblighi di cooperazione e attuazione delle idonee misure di prevenzione in capo a tutti i datori di lavoro coinvolti. Ne deriva «sulla base della disciplina desumibile dall’art. 26 d.lgs. n. 81 del 2008 e dell’intero sistema del testo normativo» come «il datore di lavoro non committente, pur non avendo l’onere di redigere il documento di valutazione dei rischi da interferenza, ha però il dovere di coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dei rischi, anche quando dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva. E questa soluzione appare coerente con l’obiettivo di incrementare la tutela contro i rischi cui sono esposti i lavoratori. La redazione di un unico documento di valutazione dei rischi da interferenza, infatti, risulta prevista in funzione di assicurare una valutazione unitaria e globale di questi, al fine di una più efficace tutela contro i fattori di pericolo, e non certo per esonerare i datori di lavoro diversi dal committente dagli obblighi di protezione e prevenzione».

Parimenti, il principio statuito dalla Corte non pare sconfessato neppure dalla circostanza per cui il luogo di lavoro fosse nella disponibilità giuridica o sottoposto ai poteri direttivi di altri. La nozione di “luogo di lavoro”, infatti, è, per costante orientamento giurisprudenziale, a tal punto estesa da comprendere anche «i luoghi esterni all’azienda o comunque non sottoposti alla disponibilità giuridica del datore di lavoro», quand’anche costituiti da «una strada pubblica ed aperta al pubblico transito, esterna al cantiere», «purché in essi il lavoratore debba o possa recarsi per eseguire incombenze di qualsiasi natura in relazione alla propria attività».

Cass. Pen., Sez. III, 13 Febbraio 2023 – Ud. del 11.01.2023 – n. 5907 Pres. G. Andreazza Rel. C. Cerroni.

News Sicurezza – In caso di azienda agricola, i terreni esterni all’area edificata e sui quali viene svolta taluna delle attività di cui all’art. 2135 c.c. non costituiscono “luoghi di lavoro”

Occorre, in premessa, rammentare come la disposizione di cui all’art. 62 comma 2° lett. d-bis) D.lgs. 81/2008 – norma di apertura del Titolo II dedicato ai luoghi di lavoro – escluda espressamente che tali possano essere considerati, ai fini del titolo predetto, i «campi, [..] boschi e [..] altri terreni facenti parte di un’azienda agricola o forestale».

A parere del Tribunale di primo grado, l’utilizzo della locuzione “altri terreni”, in assenza di qualsivoglia ulteriore specificazione, induce a ritenere che con il vocabolo “terreni” il legislatore abbia voluto far riferimento ad ogni tipo di suolo rientrante nel perimetro dell’azienda agricola forestale con conseguente non operatività delle disposizioni di cui al Titolo II del Testo Unico Sicurezza ai campi, boschi e a tutti i terreni, interni o esterni all’azienda.

Di avviso contrario la Suprema Corte di Cassazione che – dapprima richiamando l’evoluzione normativa in tal settore – ha chiarito come a mezzo dell’intervento di cui al D.lgs. 106/2009 il legislatore non avesse mai inteso escludere dalla definizione di “luogo di lavori” le aree interne e/o di immediata pertinenza dell’area edificata dall’azienda (da sempre considerate tali) ma soltanto ripristinare l’impostazione precedente all’entrata in vigore del D.lgs. 81/2008 e, pertanto, impedire che tali potessero essere qualificati i terreni situati fuori dalla predetta area.

A sostegno di tale assunto, la Corte adduce argomentazioni interpretative di matrice letterale e sistematica: in primo luogo, infatti, la stessa afferma come la definizione di “terreno”, specie se affiancato a quello di “campo” o “bosco”, rievochi una porzione più o meno ampia di suolo ove viene svolta attività agricola; in secondo luogo, sempre a parere della Terza Sezione, l’utilizzo dell’aggettivo “altri” adottato con riguardo al sostantivo “terreni” e sempre posto in relazione a quello di “campi” e “boschi” – i quali  evidentemente sono costituiti da aree esterne a qualsiasi fabbricato agricolo – dimostra come anche i primi debbano essere considerati esterni; in ultimo, poi, la Corte sostiene la necessità di coordinare la definizione di “terreni” con quella di “azienda agricola” di cui all’art. 2135 c.c. cosicché i primi corrispondono al suolo esterno all’area edificata dell’azienda ove viene svolta una delle attività di cui all’art. 2135 c.c., con esclusione delle attività connesse a queste (e previste dall’art. 2135 comma 3° c.c.) che solitamente vengono disimpegnate in luogo chiuso.

Conclude, pertanto, la Corte affermando il «principio di diritto secondo il quale, in caso di azienda agricola, non possono essere considerati “luoghi di lavoro” i soli terreni esterni all’area edificata sui quali viene svolta una delle attività previste dal secondo comma dell’art. 2135 cod. civ.; costituiscono, invece, “luoghi di lavoro” le aree di immediata pertinenza della sede (principale, secondaria, operativa, magazzino, deposito, ecc. ecc.) adibite ad attività non strettamente agricole (come, per esempio, deposito, carico/scarico merci, movimento mezzi) e/o quelle ad esse connesse previste dal terzo comma dell’art. 2135 cod. civ.».

Cass. Pen., Sez. III, 29 Dicembre 2022 – Ud. del 22.09.2022 – n. 49459 Pres. L. Ramacci Rel. A. Aceto

News Sicurezza – L’articolazione delle funzioni di gestione della sicurezza, in difetto di modello organizzativo, non può essere ritenuta soddisfatta per il tramite del D.V.R. e dell’avvenuta nomina di soggetti preposti alla sicurezza suoi luoghi di lavoro

Occorre, in premessa, richiamare la disposizione di cui all’art. 30 D.lgs. 81/2008 in virtù della quale l’ente non risponde dell’illecito amministrativo da reato, configurabile in tutti i suoi elementi costitutivi, allorquando abbia adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione e gestione aziendale che, volto ad assicurare un sistema conforme agli obblighi di legge, preveda, fra le altre, «per quanto richiesto dalla natura e dimensioni dell’organizzazione e dal tipo di attivita’ svolta, un’articolazione di funzioni che assicuri le competenze tecniche e i poteri necessari per la verifica, valutazione, gestione e controllo del rischio, nonche’ un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello».

La difesa dell’ente, in particolare, aveva in tutte le sedi ribadito l’assoluta conformità del sistema di gestione delle sicurezza predisposto dal soggetto collettivo all’art. 30 D.lgs. 81/2008: pur in assenza dell’adozione da parte dell’ente imputato di un modello di organizzazione e gestione aziendale – adottato solo successivamente alla commissione del reato ma prima della dichiarazione di apertura del dibattimento – infatti, l’organizzazione delle funzioni era stata predisposta attraverso l’approntamento del Documento di Valutazione dei rischi, la nomina di soggetti a ciò preposti (quali il medico competente, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il responsabile dei lavoratori alla sicurezza), la previsione di un sistema disciplinare ad hoc nonché di procedure di lavoro specifiche.

La Corte, però, sul punto, conferma le argomentazioni già profuse dai giudici di merito nel ritenere infondato simile assunto, ribadendo come, al di là della circostanza per cui la nomina di determinate figure di garanzia sia obbligatoria per legge, gli istituti del servizio di prevenzione e protezione così come la Sorveglianza Sanitaria hanno lo scopo di prevenire la realizzazione di infortuni sul lavoro laddove, invece, la predisposizione di un efficace modello di organizzazione e gestione risponde «alla necessità di mappare le aree di rischio e di predisporre un sistema di controlli diretti ad «assicurare l’adempimento» di una serie di obblighi giuridici in tema di sicurezza nei luoghi di lavoro, ed a ridimensionare il rischio di commissione di reati in violazione della normativa antinfortunistica». La mappatura del rischio richiesta dall’art. 30 D.lgs. 81/2008, d’altronde, non può essere fatta coincidere con quella operata nel Documento di Valutazione dei rischi di cui agli artt. 15 e 28 Decreto richiamato in quanto quest’ultimo è diretto ai soli lavoratori e ha lo scopo di informarli di tutti i rischi presenti sul luogo di lavoro mentre il modello di organizzazione e gestione ha una platea di destinatari più ampia, riguardando anche coloro che, all’interno della compagine sociale, possano rendersi autori di reati colposi così «sollecitandoli al rispetto degli obblighi giuridici in materia antinfortunistica, anche attraverso la previsione di un sistema di vigilanza sull’attuazione delle prescrizioni in esso contenute e che culmina nella previsione di sanzioni disciplinari in caso di inottemperanza».

Cass. Pen., Sez. IV, 28 Novembre 2022 – Ud. del 09 Novembre 2022 – n. 45131 Pres. D. Ferranti Rel. V. Pezzella.

News Sicurezza – Restano esclusi dal campo applicativo del Titolo IV del Testo Unico Sicurezza esclusivamente quei cantieri in cui si svolgono esclusivamente lavori impiantistici

Nel ricorso per Cassazione, la difesa aveva sostenuto come la corretta interpretazione della disposizione di cui all’art. 88 comma 2° lett. gbis D.lgs. 81/2008 avrebbe dovuto indurre il giudice di merito – che, invero, in fase d’appello, aveva omesso di argomentare in ordine a tale doglianza – a ritenere inapplicabili le norme dettate dal Titolo IV del Testo Unico Sicurezza per i cantieri mobili o temporanei a quella porzione di cantiere in cui si svolga esclusivamente, e per di più ad opera di una sola impresa, mera attività impiantistica, senza coinvolgimento di lavorazioni edili, seppur quest’ultime siano in corso di esecuzione in altra parte del medesimo cantiere.

Di avviso contrario la Suprema Corte di Cassazione che, nella pronuncia in commento, dapprima richiamando gli artt. 88 e 89 D.lgs. 81/2008 e, in particolare, le definizioni di “cantiere” e “lavori edili e di ingegneria civile”, è giunta a sostenere come il combinato disposto delle norme richiamate imponga di ritenere applicabile il Titolo IV del D.lgs. 81/2008 in ogni ipotesi in cui all’interno del cantiere, nella sua globalità o anche di una singola porzione dello stesso, vengano svolte lavorazioni ricomprese fra quelle di cui all’Allegato X; di conseguenza, l’esclusione di cui all’art. 88 comma 2° lett. gbis D.lgs. 81/2008 può ritenersi operante solo con riguardo a quei cantieri in cui vengano svolti esclusivamente «lavori relativi a impianti elettrici, reti informatiche, gas, acqua, condizionamento e riscaldamento che non comportino» né direttamente per la specifica attività impiantistica né indirettamente con riguardo ad altre lavorazioni da ivi eseguirsi «lavori edili o di ingegneria civile di cui all’allegato X» né da parte della ditta incaricata della realizzazione dell’impianto né di altre imprese che ivi operino contestualmente alla prima.

Cass. Pen., Sez. IV, 23 Novembre 2022 – Ud. del 09 Novembre 2022 – n. 44557 Pres. D. Ferranti Rel. L. Vignale.

News Sicurezza – Avere personale femminile non in stato di gravidanza ovvero infertile, non esime il datore di lavoro dall’obbligo di valutazione dei rischi di cui all’art. 11 D.lgs. 151/2001

L’art. 28 comma 1° D.lgs. 81/2001 inerente all’oggetto della valutazione dei rischi e del relativo documento prevede espressamente che «La valutazione di cui all’ articolo 17 , comma 1, lettera a), anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei miscele chimiche impiegati, nonche’ nella sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi» per quanto qui di interesse «quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151». Tale corpo normativo, in particolare, all’art. 11, impone al datore di lavoro di valutare tutti «i rischi per la sicurezza e la salute delle lavoratrici, in particolare i rischi di esposizione ad agenti fisici, chimici o biologici, processi o condizioni di lavoro di cui all’allegato C, nel rispetto delle linee direttrici elaborate dalla Commissione dell’Unione europea, individuando le misure di prevenzione e protezione da adottare».

Tale obbligo, chiarisce la Corte, permane anche nel caso in cui i rischi siano potenziali – non essendovi, al momento della costituzione del Documento di Valutazione dei Rischi ovvero successivamente, personale femminile in stato di gravidanza – nonché allorquando tutte le lavoratrici sia infertili, anche per ragioni, come nel caso di specie, legate all’età. Ciò anche in considerazione del fatto che la tutela apprestata alle lavoratrici in stato interessante si estende, per legge, anche a favore di coloro che abbiamo ricevuto bambini in adozione o in affidamento.

Cass. Pen., Sez. III, 27 Settembre 2022 – Ud. del 15 Giugno 2022 – n. 36538 Pres. G. Andreazza Rel. G. F. Reynaud.

News Sicurezza – L’utilizzo di un automezzo omologato alla Direttiva macchine, seppur in concreto rivelatosi strutturalmente difettoso, esclude la configurabilità dell’aggravante dell’aver commesso il fatto “in violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro”

Il caso di specie prende le mosse da un evento mortale realizzatosi a carico di un soggetto investito da un autocompattatore adibito alla raccolta dei rifiuti. In particolare, il guidatore, a causa delle dimensioni del mezzo e della ristrettezza del tratto di strada utilizzabile, intraprendeva una manovra di retromarcia; nell’occasione, però, pur avendo regolarmente azionato i dispositivi rumorosi e luminosi impiantati sul mezzo, il lavoratore colpiva la persona offesa la quale si trovava in una “zona d’ombra” non visibile né per il tramite degli specchetti retrovisori né della telecamera posteriore del veicolo.

Entrambi i giudici di merito avevano dichiarato la penale responsabilità degli imputati ritenendo, per quel che qui interessa, l’evento causalmente connesso alla mancata dotazione del mezzo con dispositivi in grado di garantire una visuale completa in caso di manovra in retromarcia nonché per non aver previsto l’ausilio di un secondo operatore al fine di garantirne l’esecuzione in sicurezza.

Invero, a parere della Suprema Corte di Cassazione, la circostanza che l’autocompattatore fosse stato regolarmente omologato dal Ministero per i trasporti alla Direttiva Macchine, per di più per la guida monoperatore, esonerava l’utilizzatore dal disporre nuove ed ulteriori verifiche, dal momento che quest’ultimo poteva fare legittimo affidamento sulla valutazione di sicurezza del veicolo e del suo uso espressa dall’ente preposto. Ne conseguiva la impossibilità di formulare qualsivoglia addebito a carico degli imputati, non essendovi alcuna conoscenza oggettiva della manchevolezza tecnica dell’automezzo e, pertanto, non potendosi in alcun modo prevedere la pericolosità della manovra di retromarcia.

In conclusione, benché l’incidente si fosse verificato in occasione dello svolgimento di attività lavorativa, esso non era in alcun modo stato commesso con violazione della normativa in materia di salute e sicurezza suoi luoghi di lavoro in quanto il rischio realizzatosi si poneva fuori dall’area di gestione del datore di lavoro (che si era limitato a mettere a disposizione un automezzo regolarmente omologato e a cui non era interdetta la guida in retromarcia), inerendo piuttosto alla circolazione stradale (trattandosi di evento dipeso dalla presenza di più persone nel tratto stradale e cagionato dalla difettosità strutturale di un mezzo regolarmente omologato).

Cass. Pen., Sez. IV, 23 Agosto 2022 – Ud. del 26 Maggio 2022 – n. 31478 Pres. E. Serrau Rel. M. Nardin

News Sicurezza – Salvo casi eccezionali, l’omessa redazione o aggiornamento del DVR non può porsi come antecedente causale del fatto tipico di morte/lesioni colpose

Nella pronuncia in commento, la Suprema Corte di Cassazione ha chiarito come l’omessa redazione e/o aggiornamento del Documento di valutazione dei rischi costituisca, fuor di dubbio, violazione della normativa antinfortunistica, punita a norma dell’art. 55 D.lgs. 81/2008; ciononostante, salvo casi del tutto peculiari, tale circostanza non assume rilievo causale rispetto al fatto tipico di lesioni personali colpose e/o omicidio colposo, aggravati dalla violazioni del Testo Unico Sicurezza, in quanto, sul piano giuridico, tali eventi sono sempre teleologicamente connessi alla mancata adozione di una misura di prevenzione che, allorquando adottata, avrebbe impedito l’esito infausto.

In questa prospettiva, la mancata elaborazione e/o aggiornamento del D.V.R. può costituire solo una premessa fattuale rispetto alla successiva accertata sussistenza di un’omissione circa l’adozione della misura antinfortunistica che secondo la migliore esperienza, tecnica e scienza di un dato momento sarebbe stata doverosa ed idonea ad impedire l’evento lesivo. Questa. inoltre, deve essere espressamente individuata dal giudice in sentenza.

Cass. Pen., Sez. IV, 15 Luglio 2022 – Ud. del 13.04.2022 – n. 27583 Pres. e Rel. D. Salvatore.

News Sicurezza – A date condizioni, il conferimento da parte del datore di lavoro di una specifica consulenza in materia di sicurezza potrebbe essere idoneo ad escluderne la colpa

In accoglimento del relativo motivo di censura, la Quarta Sezione della Suprema Corte di Cassazione è giunta a ribadire come il conferimento di una specifica attività di consulenza in materia di sicurezza sul lavoro – sebbene non sia idonea ad integrare una valida delega di funzioni con conseguente trasferimento della posizione di garanzia datoriale – costituisca profilo, a determinate condizioni, in grado di incidere sull’elemento soggettivo colposo rimproverabile all’agente ed, in specie, sull’esigibilità del comportamento alternativo lecito da parte dell’imputato.

Ricorda, infatti, la Corte come la colpa si componga di due versanti: l’uno oggettivo, connesso all’effettiva violazione di una regola cautelare; e l’altro soggettivo, connesso alla concreta possibilità dell’agente di conformarsi a suddetta regola.

Sotto tale ultimo aspetto, a parere del giudice di legittimità, la Corte d’Appello aveva dichiarato la responsabilità del datore di lavoro sulla scorta del mero nesso causale tra l’evento lesivo e la ritenuta omessa messa a disposizione di idonei dispositivi di protezione individuale; invero, sarebbe stato opportuno – al fine di scongiurare un’imputazione per responsabilità oggettiva del garante – valutare l’incidenza di detta attività di consulenza sulla capacità del datore di lavoro di conoscere i D.P.I. più opportuni da adottarsi nel caso concreto. In particoalre, il giudice di merito avrebbe dovuto verificare l’effettiva esperienza e specializzazione della ditta incaricata dell’attività di consulenza, l’ampiezza e specificità dell’attività a questi richiesta nonché la complessità della scelta degli specifici d.p.i. al fine di poter dedurre la concreta conoscenza o conoscibilità di questi da parte dell’agente e, conseguentemente, l’esigibilità del rispetto della regola cautelare imposta dall’art. 18 D.lgs. 81/2008.

Cass. Pen., Sez. IV, 10 Giugno 2022 – Ud. del 13.04.2022 – n. 22628 Pres. S. Dovere Rel. F. Antezza.