Con autonomo motivo di ricorso per cassazione, la difesa lamentava l’erronea dichiarazione di responsabilità dell’ente per l’illecito amministrativo da reato di cui all’art. 25-septies D.lgs. 231/2001 per assenza di un interesse o vantaggio dello stesso stante la mancata prova in punto alla sistematica violazione delle regole cautelari da parte della persona fisica agente. Solo a fronte di tale circostanza – a detta del ricorrente – infatti, sarebbe stato possibile ritenere esistente una politica d’impresa in contrasto con la normativa in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro tale da giustificare l’imputazione dell’ente stesso.
La Suprema Corte di Cassazione – pur ammettendo l’esistenza di un orientamento giurisprudenziale di tal guisa volto ad impedire che, rispetto ai reati colposi, la responsabilità dell’ente venisse fatta discendere dal mero accertamento della commissione del reato presupposto e dell’immedesimazione organica con l’ente – nega la validità di una simile lettura. In primo luogo, infatti, rileva come la menzionata sistematicità non faccia parte degli elementi costitutivi della fattispecie tipica (non prevedendo l’art. 25-septies D.lgs. 231/2001 tale requisito) e, in secondo luogo, come questa connotazione sia superflua rispetto al fine di assicurare una conformità dell’imputazione dell’illecito amministrativo da reato dell’ente al principio di colpevolezza, garantita dall’esclusione dall’alveo delle condotte giuridicamente rilevanti di quelle poste in essere con coscienza e volontà ma prive dell’intenzione di soddisfare un interesse dell’ente o far conseguire allo stesso un vantaggio; di contro, considerare la sistematicità della condotta violatrice di regole cautelari quale elemento costitutivo della responsabilità dell’ente significherebbe esonerare quest’ultimo dal rimprovero ordinamentale tutte le volte in cui il reato presupposto sia stato posto in essere con l’intenzionalità di cui detto ma in via meramente occasionale o episodica.
D’altro canto, il concetto di “sistematicità” è a tal punto generico da non consentire di stabilire quali (è necessario che si tratti di ripetute violazioni di un uguale o analoga regola cautelare o anche di diverse regole purché tutte poste a salvaguardia della salute e sicurezza dei lavoratori?) e quante condotte siano necessarie per ritenere provata l’esistenza di una politica aziendale non conforme alla norma di legge.
Di converso, la Corte fa valere tale requisito sul pianto probatorio. Essendo l’atteggiamento finalistico del soggetto agente parte della sua deliberazione interna, la valutazione della sistematicità della sua violazione potrebbe rilevare come elemento indiziario di ciò, essendo senza dubbio espressiva di un modo di essere della organizzazione che potrebbe aver influenzato la determinazione del soggetto.
Cass. Pen., Sez. IV, 26 Ottobre 2020 – Ud. del 22.09.2020 – n. 29584.