Archivi categoria: Spazio 231

News 231/2001 – Ai fini dell’incompatibilità fra ente e suo legale rappresentante non è necessario che la responsabilità del primo sia stata accertata o formalmente contestata in atti

La pronuncia in commento prende le mosse dal ricorso per Cassazione promosso avverso il provvedimento del Tribunale del Riesame che aveva dichiarato inammissibile l’impugnazione del decreto di sequestro preventivo del patrimonio e delle quote sociali avanzata dal difensore dell’ente in quanto ritenuto privo di apposita procura speciale.

Di converso, lamentava la difesa che, in primo luogo, il mandato defensionale era stato conferito dal legale rappresentante della Società – erroneamente ritenuto socio non amministratore – risultando suddetta qualifica da precisi elementi narrativi e descrittivi dell’atto e che, in secondo luogo, del tutto inconferenti erano le argomentazioni del giudice cautelare in punto alla distinzione tra nomina fiduciaria e procura speciale, non essendo quest’ultima necessaria ai fini della proposizione del riesame.

Nel confermare la pronuncia impugnata, la Corte ha, dapprima, ribadito il proprio costante insegnamento in virtù del quale potendo essere riconosciuto un interesse concreto ed attuale al dissequestro dei beni solo in capo alla Società proprietaria degli stessi, la relativa impugnazione avrebbe dovuto essere proposta da difensore nominato, per conto di questa, da parte del legittimo legale rappresentante; questi, in osservanza del disposto di cui all’art. 39 D.lgs. 231/2001, avrebbe dovuto conferire al primo apposita procura speciale nelle forme di cui all’art. 100 c.p.p.. Ed infatti, l’esercizio delle facoltà e dei diritti riconosciuti dalla legge all’ente coinvolto nel procedimento penale sono subordinati alla sua costituzione in giudizio, da esercitarsi a mezzo dichiarazione contenente, fra le altre, il nome e il cognome del difensore e l’indicazione della relativa procura; nel caso in cui l’ente, invece, decida di rimanere contumace, le garanzie procedimentali sono a questi assicurate per il tramite di un difensore d’ufficio.

Nel proseguo, però, la Seconda Sezione ha, invero, ritenuto come, nel caso di specie, la vera problematica fosse piuttosto connessa alla sussistenza di una situazione di conflitto di interessi fra ente e suo legale rappresentante che, nel rispetto dell’art. 39 D.lgs. 231/2001, avrebbe impedito a quest’ultimo di nominare un difensore per conto del primo. Spingendosi ben oltre quello che costituisce pacifico orientamento di legittimità, la Corte ha ora chiarito come ai fini dell’operatività della disposizione richiamata non sia necessario che la responsabilità dell’ente sia stata accertata o formalmente contestata in atti, dovendo tale situazione essere rapportata all’impianto accusatorio e agli atti di indagine « – ossia al fumus – con la conseguenza che qualora [..] la condotta contestata al legale rappresentante ed amministratore possa porsi a fondamento dell’illecito della società. così come tipizzato dalla normativa richiamata, diviene ostensibile il conflitto di interessi derivante dall’essere il legale rappresentante indagato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo».

Cass. Pen., Sez. II, 22 Novembre 2022 – Ud. del del 13 Ottobre 2022 – n. 44372 Pres. G. Diotallevi Rel. G. Ariolli.

News 231/2001 – Al delegato alla sicurezza, pur se dotato di un ampio e autonomo potere decisionale, non può essere riconosciuto, per ciò solo, il ruolo di soggetto “apicale”

Nelle pronuncia in commento la Suprema Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di merito impugnata ritenendo che la stessa avesse erroneamente attribuito all’imputato la qualifica di soggetto “apicale” ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 5 comma 1° lett. a) D.lgs. 231/2001.

Occorre, in premessa, ricordare, infatti, come la responsabilità amministrativa da reato presupponga, per quanto qui di interesse, la commissione, nell’interesse o a vantaggio dell’ente, di un determinato illecito penale da parte di «persone che rivestono funzioni di rappresentanza, amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, nonché da persone che esercitano anche di fatto, la gestione o il controllo dello stesso».

Evidente, pertanto, a detta della Corte, come la norma di cui all’art. 5 comma 1° lett. a) D.lgs. 231/2001 non faccia espresso richiamo alle posizioni verticistiche in ambito lavoristico (quali datore di lavoro, dirigente e proposto) ma afferisca, in termini generali ed onnicomprensivi, alla persona che esprime la massima rappresentenza e gestione dell’ente-persona giuridica. In questa direzione, puntualizza ulteriormente la Corte, la nozione di “rappresentanza” rinvia a quell’insieme di poteri che, derivanti dal ruolo rivestito all’interno della compagine sociale e a prescindere da una espressa procura in tal senso, consentono di esprimere all’esterno e, pertanto, vincolare la volontà dell’ente rispetto a determinati atti; parallelamente, i concetti di “amministrazione” e “direzione” evocano, sotto il profilo funzionale, i poteri di indirizzo, organizzazione aziendale nonché di assunzione di decisioni attraverso le quali l’ente persegue le proprie finalità. A differenza del potere di rappresentanza, quello di direzione presuppone un atto di investitura con il quale al dirigente viene affidata l’intera organizzazione aziendale o una sua porzione e gli vengono conferite attribuzioni che, pur nel rispetto delle direttive programmatiche dell’ente, consentano al primo un ampio spazio di inziativa, discrezionalità ed autonomia tale da indirizzare il governo dell’azienda e di assumersene la relativa responsabilità.

Date queste definizioni, anche il giudice di merito aveva escluso che l’imputato, R.S.P.P. all’interno della Società, potesse essere considerato soggetto avente la rappresentanza, la direzione o il controllo dell’ente; ciononostante, la Corte d’Appello aveva ritenuto che la delega conferita al Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, tradizionalmente soggetto ausiliario del datore di lavoro, fosse a tal punto estesa e dotasse lo stesso di tali autonomi poteri decisionali, senza alcun ingerenza da parte dell’organo amministrativo, da attribuirgli un ruolo apicale all’interno dell’azienda e con specifico riguardo al settore della salute e sicurezza suoi luoghi di lavoro. In altri termini, in forza della procura, all’imputato era stato trasferito un ruolo di vertice all’interno della Società, assimilabile a quello del dirigente, e, pertanto, pur essendo sottoposto al potere di vigilanza del datore di lavoro e condizionato dal potere di revoca dell’investitura, lo stesso aveva assunto una posizione sovraordinata nello specifico settore di competenza, divenendo, per l’effetto, soggetto apicale ai sensi del D.lgs. 231/2001.

Di avviso nettamente contrario la Quarta Sezione della Suprema Corte di Cassazione la quale ha ritenuto che la suddetta interpretazione stridesse con la portata normativa di cui all’art. 5 comma 1° lett. a) D.lgs. 231/2001. Entrambi i giudici di merito, infatti, non si erano adeguatamente confrontati con la necessità che, ai sensi della richiamata dispozione, il soggetto autore del reato presupposto godesse di poteri di gestione dell’intero complesso aziendale o di una sua specifica unità organizzativa; circostanza questa che non poteva essere ravvisata in capo a colui al quale erano state delegate compiute compentenze in ambito antinfortunistico e non, certamente, l’intera gestione aziendale.

I giudici di primo e secondo grado, in sostanza, avevano indebitamente equiparato il potere del delegato alla sicurezza nonché RSPP di adottare autonome decisioni in tal ambito alla sua assunzione della veste di soggetto apicale ai sensi della disciplina sulla responsabilità amministrativa da reato. Sostiene la Corte di Cassazione, di converso, che l’autonomia decisionale costituisce, senza dubbio, requisito essenziale ai fini della validità della delega conferita a norma dell’art. 16 D.lgs. 81/2008 ma non consente, autonomaticamente, il trasferimento in capo al delegato delle funzioni di rappresentanza, direzione e/o gestione dell’ente né determina una relazione di immedesimazione organica tra il primo e quest’ultimo.

Conclude, quindi, la Corte annullando la sentenza impugnata e affermando i seguenti principi di diritto:

«ai fini della individuazione delle persone dotate di funzioni di rappresentanza, di gestione e di direzione dell’ente e di una unità organizzativa provvista di autonomia finanziaria, non può prescindersi dai criteri identificativi fissati dagli istituti dell’ordinamento giuridico generale e non quelli di un particolare settore come quello lavoristico, ivi compresi gli strumenti deputati alla costituzione ovvero al trasferimento di funzioni da soggetti verticistici, quali la procura»;

«A tale fine non può costituire elemento sintomatico della costituzione di una posizione verticistica ovvero direzionale lo strumento delineato dall’art.16 D.Lsv. 81/2008 che attiene al diverso ambito della delega di funzioni nel settore della prevenzione dei rischi in ambito lavorativo, che non determina il trasferimento della funzione datoriale, nella sua accezione gestionale e di indirizzo, né di regola, la costituzione di una posizione verticistica, ma risulta strutturato per sollevare il datore di lavoro da singoli incombenti in materia di sicurezza nel limitato ambito delle funzioni trasferite».

Cass. Pen., Sez. IV, 21 Settembre 2022 – Ud. del 24.05.2022 – n. 34943 Pres. S. Dovere Rel. U. Bellini

News 231/2001 – In un contesto di generale osservanza della disciplina antifortunistica, l’esiguità dell’interesse o vantaggio può escludere la responsabilità dell’ente salvo che la violazione non afferisca ad un’area di rischio di rilievo

Nella pronuncia in commento, la Suprema Corte di Cassazione ha confermato la sentenza di merito impugnata ritenendo la stessa in piena coerenza con gli approdi giurisprudenziali già da tempo mutuati in ambito di responsabilità amministrativa da reato degli enti.

In particolare, la Quarta Sezione, richiamando un proprio precedente dello scorso anno, ha ribadito come, al fine di evitare un’indebita estensione dell’ambito di operatività della normativa di settore a qualunque ipotesi di mancata adozione di una misura di prevenzione, l’esiguità dell’interesse o del vantaggio dell’ente, in un contesto di tendenziale rispetto della disciplina in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, può valere ad escludere la responsabililtà dell’ente per difetto del requisito della “colpa di organizzazione”, sotto il profilo della non prevedibilità per questo della regola cautelare ex post risultata trascurata. Ciò, però, chiarisce la Corte, esclusivamente allorquando la violazione non concerna un’area di rischio di rilievo poiché, in caso contrario, non può validamente sostenersi l’assenza di colpa rispetto alla mancata adozione di una misura cautelare essenziale per il buon funzionamento del sistema di sicurezza aziendale.

Così nel caso di specie ove, pur a fronte di un risparmio di spesa (derivato dalla mancata adozione del presidio di sicurezza che aveva consentito il verificarsi del sinistro) pari ad € 1.860,00, fuor di dubbio esiguo rispetto all’ammontare degli investimenti operati dall’azienda in ambito antifortunistico, è stata, comunque, dichiarata la responsabilità dell’ente alla luce della rilevanza – rispetto all’attività aziendale –  del settore ove si era verificata la violazione nonché del ritenuto accertato agire dell’ente nel preminente interesse della produzione in luogo di quello afferente alla sicurezza dei lavoratori. Ciò, in particolare, era stato dedotto da una serie di elementi ulteriori al mero risparmio derivante dalla mancata adozione del presidio di sicurezza quali la politica antinfortunistica carente, la riduzione dei costi di consulenza per l’aggiornamento del modello nonché di formazione e addestramento dei lavoratori.

Cass. Pen., Sez. IV, 15 Settembre 2022 – Ud. del 30.06.2022 – n. 33976 Pres. P. Piccialli Rel. M. Bruno.

News 231/2001 – La sentenza di condanna pronunciata a carico della persona fisica per cui si sia proceduto separatamente non fa stato nei confronti dell’ente

In premessa, la Corte richiama il proprio precedente giurisprudenziale in forza del quale la separazione della posizione processuale dell’imputato rispetto a quella dell’ente – dovuta alla scelta del primo di optare per un rito speciale – non incide in alcun modo sull’imputazione e conseguente dichiarazione di responsabilità del secondo né riduce l’ambito di cognizione di merito del giudice chiamato a valutare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito amministrativo da reato, tra i quali l’accertamento del reato ne è uno.

Parimenti – ricorda sempre la Terza Sezione – l’autonomia della cognizione giudiziale è stata ribadita anche nei casi di assoluzione della persona fisica asserita autrice del reato presupposto.

Dati questi approdi ermeneutici ormai consolidati, afferma la Corte, nella sentenza in commento, come la suddetta autonomia di cognizione debba essere sostenuta anche nei casi in cui l’imputato sia stato condannato all’esito di un giudizio altro e separato da quello promosso nei confronti dell’ente.

Ed infatti, sebbene il Decreto Legislativo miri ad assicurare il più possibile il simultaneus processus, nulla dice in ordine all’efficacia delle sentenze irrevocabili pronunciate a carico della persona fisica e/o dell’ente rispetto alla posizione altrui.

Inoltre, le norme sull’efficacia del giudicato di cui agli artt. 651 e ss. c.p.p., applicabili al caso di specie in virtù del disposto di cui all’art. 34 D.lgs. 231/2001, riconoscono all’esecutiva sentenza di condanna emessa nei confronti di un soggetto di spiegare forza vincolante rispetto alla posizione di un’altra parte processuale solo in relazione a vicende diverse da quella in parola (e, in particolare, nei giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno ovvero nel procedimento disciplinare) e soltanto con riferimento a soggetti che, in ogni caso, abbiano potuto esercitare compiutamente il loro diritto di difesa all’interno del processo.

D’altro canto, in ultimo, il principio sostenuto dalla Corte pare giustificato anche da una ragione di tipo sistematico: negare l’efficacia di giudicato della sentenza penale a carico dell’imputato persona fisica rispetto alla posizione dell’ente è strumentale a garantire ad ambo le parti la possibilità di esercitare il loro diritto di difesa nel modo più ampio possibile, senza subire limitazioni alcune derivanti delle scelte processuali poste in essere dall’altro soggetto.

In questa prospettiva, la sentenza di condanna pronunciata nei confronti dell’imputato per il quale si  proceduto separatamente potrà entrare a far parte del compendio probatorio a carico dell’ente nei limiti e nelle forme di cui all’art. 238 e 238bis c.p.p.

Cass. Pen., Sez. III, 26 Maggio 2022 – Ud. del 24.03.2022 – n. 20559 Pres. L. Ramacci Rel. A. Corbo.

News 231/2001 – L’omessa adozione di modelli di organizzazione e gestione da parte dell’ente non è sufficiente ai fini della sua dichiarazione di responsabilità

Il capo di imputazione formulato a carico della Società nel caso di specie vedeva a questa addebitato l’illecito amministrativo da reato di cui all’art. 25-septies D.lgs. 231/2001 per aver reso possibile la realizzazione del reato presupposto, commesso nel suo interesse, omettendo di dotarsi di un modello di organizzazione e gestione ideneo ad impedire la commissione di reati della stessa specie di quello realizzatosi e, in particolare, mancando di nominare un organo di vigilanza deputato alla verifica dei sistemi di sicurezza delle macchine operatrici.

Invero, nella pronuncia in commento, la Corte giunge ad affermare come elementi costitutivi dell’illecito amministrativo da reato siano: a) l’immedesimazione organica tra la persona fisica e l’ente; b) la commissione da parte della persona fisica (soggetto apicale all’interno dell’ente ovvero colui che è sottoposto alla vigilanza del primo) di uno dei reati presupposto previsti dalla  normativa; c) la colpa di organizzazione dell’ente; d) il nesso causale tra questi ultimi due.

Proprio con riferimento alla colpa d’organizzazione, la Quarta Sezione ha ricordato come l’enucleazione di tale elemento si sia resa indispensabile al fine di impedire l’insorgenza di una responsabilità oggettiva in capo all’ente, tenuto a rispondere ogniqualvolta un soggetto fisico qualificato abbia realizzato un determinato illecito. Ecco che, allora, l’ente potrà essere legittimamente chiamato a rispondere dell’illecito amministrativo da reato – da intendersi come fatto proprio colpevole – tutte le volte in cui, a seguito della commissione di un reato presupposto da parte dell’agente fisico avente le qualifiche di cui all’art. 5 D.lgs. 231/2001, la pubblica accusi provi la sua cd. colpa d’organizzazione ovvero dimostri che questi ha omesso di predisporre tutti quegli accorgimenti preventivi idonei ad impedire la realizzazione di illeciti di egual specie. In questa prospettiva, l’atteggiamento finalistico della condotta dell’agente deve essere più che conseguenza di un moto interiore soggettivo del reo, espressione di un assetto organizzativo negligente dell’impresa.

Ciò premesso, è evidente come la mancata adozione di un modello di organizzazione e gestione da parte della persona giuridica non sia in grado di assurgere ad elemento costitutivo dell’illecito di talché l’omessa, inadeguata o inefficace adozione del modello non può di per sé essere posta a fondamento della dichiarazione di responsabilità ex 231/2001.

Ne deriva, a detta della Corte, l’evidente equivoca formulazione del capo di imputazione e il difetto della motivazione del giudice di merito che ha fondato la dichiarazione di condanna, da un lato, sulla scorta della provata assenza di un modello di organizzazione e gestione dell’ente e del conseguente risparmio di tempo derivatone e, dall’altro, sull’omessa vigilanza sui sistemi di sicurezza dei macchinari. In ordine a quest’ultimo aspetto, è interessante notare come la Quarta Sezione abbia chiarito come i profili afferenti alle dotazioni di sicurezza e al controllo sullo specifico macchinario in cui si è verificato l’infortunio ineriscano alla responsabilità del datore di lavoro persona fisica e non abbiano niente a che fare con la colpa d’organizzazione dell’ente.

D’altro canto, il compito di vigilanza suddetto non può porsi in capo all’organismo di vigilanza il quale, contrariamente, è tenuto a verificare l’osservanza dei modelli.

Cass. Pen., Sez. IV, 10 Maggio 2022 – Ud. del 15.02.2022 – n. 18413 Pres. S. Dovere Rel. A. Rinaldi.

News 231/2001 – La Cassazione torna a pronunciarsi sulla rilevanza dell’esiguità del risparmio conseguito dall’ente nei casi di accertati ingenti investimenti sostenuti per la sicurezza

Occorre, in premessa, ricordare come con sentenza n. 22256 del 03.03.2021 – depositata in cancelleria il successivo 08.06.2021 – la Quarta Sezione della Suprema Corte di Cassazione avesse sancito il seguente principio di diritto: al fine di evitare un’indebita automatica imputazione dell’ente a fronte di qualsivoglia ravvisata omissione di una misura di prevenzione (che comporta, quasi sempre, un risparmio di spesa) è necessario che il giudice – il quale abbia accertato l’esiguità del risparmio conseguito dall’ente in un contesto di tendenziale osservanza della normativa – provi che le contestate omissioni siano dipese da un’oggettiva prevalenza delle esigenze aziendali di massimizzazione del profitto su quelle di tutela dei lavoratori.

Con la pronuncia in commento, la Quarta Sezione ha, però, ribadito come l’assunto giuridico anzidetto non assuma una portata generale con conseguente totale irrilevanza, nel caso sub iudice, del profilo dell’esiguità del vantaggio ottenuto a fronte di appurate ingenti spese sostenute dall’ente per la manutenzione e sicurezza dei luoghi e delle attrezzature di lavoro.

Ed infatti, tale profilo può assumere rilevanza solo in un contesto in cui vi sia la prova, da un lato, che la persona fisica non abbia agito perseguendo intenzionalmente un interesse dell’ente e, dall’altro, della generale osservanza in azienda delle disposizioni normative. In altri termini, l’esiguità del vantaggio può assumere rilievo solo nei casi in cui l’omissione della cautela sia dipesa da una sottovalutazione del rischio o da un errato apprezzamento delle misure necessarie e non invece allorquando – come nel caso in esame – la misure fossero state adeguatamente previste ma a lungo consapevolemente disattese.

Cass. Pen., Sez. IV, 07 Aprile 2022 – Ud. del 24.03.2022 – n. 13218 Pres. V. Pezzella Rel. L. Vignale.

Cass. Pen., Sez. IV, 08 Giugno 2022 – Ud. del 03.03.2021 – n. 22256 Pres. P. Piccialli Rel. P. Proto Pisani.

News 231/2001: La cancellazione dal registro delle imprese della Società non determina l’estinzione dell’illecito amministrativo da reato dell’ente

Occorre, in premessa, evidenziare come con sentenza n. 41082 del 10 Settembre 2019, depositata in cancelleria il successivo 07 Ottobre 2019, la Seconda Sezione della Suprema Corte di Cassazione abbia sancito il principio di diritto per cui in caso di estinzione non fraudolenta dell’ente (nello specifico, dipesa dalla cancellazione dello stesso dal registro delle imprese a seguito di avvenuta chiusura della procedura fallimentare), il giudice debba dichiarare estinto l’illecito amministrativo da reato al primo addebitato venendo a determinarsi una situazione assimilabile alla morte del reo persona fisica.

Invero, proprio tale argomentazione è stata ritenuta non condivisibile nella pronuncia in commento ove la Quarta Sezione della Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto, in mancanza di una norma specifica, di non poter dichiarare l’estinzione dell’illecito amministrativo da reato per intervenuta cancellazione dell’ente dall’apposito registro.

In primo luogo, la Corte ha evidenziato come le cause di estinzione del reato siano generalmente un numero chiuso e  come la loro applicabilità anche all’attiguo settore della responsabilità amministrativa da reato sia stata, di volta in volta, e quando voluto, prevista espressamente dal legislatore. Così nell’art. 8 D.lgs. 231/2001 in materia di amnistia; così nell’art. 67 D.lgs. 231/2001 ove si ammette la pronuncia di non doversi procedere nei confronti della Società solo in caso di prescrizione del reato dal quale dipende l’illecito intervenuta prima dell’avvenuta contestazione dello stesso (nonché di prescrizione della relativa sanzione).

In secondo luogo, il Giudice di Legittimità – richiamando Cass. Pen., Sez. Un., 17 Marzo 2015 – Ud. del 25.09.2014 – n. 11170 ove si è stabilito che la dichiarazione di fallimento della società non comporta l’estinzione dell’illecito amministrativo da reato a questa addebitato – ha ritenuto che non vi siano motivi per distinguere, dal punto di vista del trattamento applicabile, tale situazione da quella in esame.

In ultimo, con precipuo riferimento all’applicabilità in materia di responsabilità amministrativa da reato della causa di estinzione del reato per morte del reo, la Corte ha rilevato l’impossibile estensione della disposizione all’illecito amministrativo da reato in quanto, ai sensi dell’art. 35 D.lgs. 231/2001, le norme di cui al codice di procedura penale sono applicabili solo in quanto compatibili con le particolarità del sistema in parola.

Ciò premesso, la Corte ha evidenziato come, a norma degli artt. 2493 e 2495 c.c., l’estinzione di una società di capitali importi il trasferimento della titolarità dell’impresa direttamente in capo ai singili soci, non realizzandosi una divisione in senso tecnico, ed abbia efficacia ex nunc, non incidendo sui rapporti sorti nell’esercizio dell’impresa in data anteriore allo scioglimento. Di talché, sebbene la cancellazione della società comporti un indubbio problema in punto al soddisfacimento dei crediti, questa situazione, al contrario, non determina alcuna difficoltà di accertamento della responsabilità dell’ente per fatti realizzatisi in data precedente alla sua estinzione, non essendovi, peraltro, alcuna norma nell’ordinamento che giustifichi un’esclusione della responsabilità per effetto della cancellazioen dell’ente.

Cass. Pen., Sez. IV, 17 Marzo 2022 – Ud. del 22.02.2022 –n. 9006 Pres. E. Serrao Rel. D. Cenci.

News 231/2001 – L’imputazione ai sensi del D.lgs. 231/01 di una società unipersonale a responsabilità limitata richiede la verifica, in concreto, della dualità soggettiva tra socio unico e ente

Nella pronuncia in commento, la Suprema Corte di Cassazione, affema, in prima istanza, come la disciplina di cui al D.lgs. 231/2001 trovi, senz’altro, applicazione nei confronti delle società a responsabilità limitata a socio unico in quanto persone giuridiche formalmente ricomprese nel catalogo di cui all’art. 1 del Decreto citato. Ed infatti, benché il Collegio sia ben coscio della circostanza per cui, sul piano concreto, la struttura e la capacità patrimoniale della società in parola possano indurre a ritenere la stessa pienamente sovrapponibile ad un’impresa individuale, lo stesso chiarisce come, mentre quest’ultima non è un ente (e, pertanto, è pacificamente esclusa dal compo applicativo della disciplina in materia di responsabilità amministrativa da reato), la prima appare giuridicamente qualificabile come soggetto autonomo dalla persona fisica.

Ciononostante, soprattutto nelle realtà di più ridotte dimensioni, la dualità soggettiva tra ente e socio unico può essere estremamente labile, se non inesistente. Per questo motivo, pur ribadendo l’applicabilità formale del D.lgs. 231/2001 alle società unipersonali a responsabilità limitata, la Corte sostiene la necessità che il giudice procedente verifichi in concreto l’esistenza di un centro di interessi dell’ente autonomo rispetto a quello della persona fisica che ha realizzato il reato presupposto; allo scopo, possono essere valorizzati elementi quali l’organizzazione e le dimensioni della società, l’attività da questa svolta, i rapporti tra la stessa e il socio che la governa, l’esistenza di un interesse aziendale ed il perseguimento di questo.

Cass. Pen., Sez. VI, 06 Dicembre 2021 – Ud. del 16 Febbraio 2021 – n. 45100 Pres. G. Fidelbo Rel. P. Silvestri.

 

News 231/01 – Ai fini della configurabilità del requisito del vantaggio dell’ente è irrilevante la sistematicità delle violazioni. La dichiarazione di responsabilità dell’ente dovrà comunque essere fondata sulla prova della sussistenza di un apprezzabile vantaggio dallo stesso conseguito, non desumibile dalla mera commissione dell’illecito presupposto

La pronuncia in commento si inserisce nel solco delle recentissime decisioni emesse dalla Suprema Corte di Cassazione a mezzo della quali la stessa è giunta a sostenere l’irrilevanza della sistematicità delle violazioni presupposto ai fini della dichiarazione di sussistenza dell’elemento oggettivo delle responsabilità amministrativa da reato dell’ente, rectius quello dell’interesse.

Con la pronuncia in commento, la Quarta Sezione della Corte ha, invero, esteso la portata applicativa del suddetto principio di diritto anche all’alternativo requisito del vantaggio. Si è, infatti, sostenuto come anche rispetto a tale elemento, l’eventuale sistematicità della violazioni possa assumere rilevanza esclusivamente sul piano probatorio ma non certo costituire presupposto imprenscindibile per la configurabilità del vantaggio richiesto dalla norma di legge.

Ciononostante – prosegue la Corte – al fine di evitare quasivoglia automatismo nella declaratoria di responsabilità dell’ente, facendo ciò discendere dalla mera sussistenza di una violazione, fermi restando gli ulteriori requisiti di legge, il giudice può legittimamente giungere ad una condanna della persona giuridica allorquando:

– anche sulla scorta della pluralità delle violazioni, si ritenga che il comportamento illecito sia frutto di una precisa e consapevole politica aziendale volta alla massimizzazione del guadagni;

– in caso di occasionalità della condotta rilevante ai sensi del D.lgs. 231/2001, si sostenga che il soggetto persona fisica abbia agito perseguendo finalisticamente l’interesse dell’ente;

– in caso di occasionalità della condotta, e in assenza del requisito dell’interesse dell’ente, si provi che quest’ultimo ha ottenuto un vantaggio non irrisorio, facendo prevalere le esigenze di profitto su quelle di tutela e salvaguardia della salute e sicurezza dei lavoratori. Tale accertamento non può essere fatto discendere dalla mera sussistenza della violazione presupposto contestata ma deve essere adeguatamente provato e motivato, anche sulla scorta di presunzioni.  

Cass., Sez. IV Pen., 08 Giugno 2021 n. 22256 Pres. P. Piccialli Rel. P. Proto Pisani

 

News 231/2001 – L’espressione “si è comunque efficacemente adoperato” di cui all’art. 12 comma 2° lett. a) D.lgs. 231/2001 va riferita solo all’eliminazione delle conseguenze del reato e non anche all’avvenuto risarcimento del danno

Come noto, la disposizione richiamata legittima la riduzione da un terzo alla metà della sanzione amministrativa irrogabile all’ente ogniqualvolta questo abbia risarcito integralmente il danno ed eliminato le conseguente dannose o pericolose del reato «ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso».

A detta della difesa del ricorrente, tale ultima espressione dovrebbe essere riferita ad entrambe le condotte imposte dal legislatore ai fini della concessione del beneficio così da potersi dire soddisfatta la condizione di legge anche nei casi in cui il risarcimento intervenuto sia stato soltanto parziale, come nel caso di specie.

Di avviso contrario la Suprema Corte di Cassazione.

Con specifico riferimento alla prescrizione dell’intervenuta eliminazione delle conseguenze pregiudizievoli del reato, la Quarta Sezione evidenzia come la condizione sia stata imposta dal legislatore avendo riguardo a tutti i reati ricompresi nel catalogo di quelli idonei a giustificare una responsabilità amministrativa da reato degli enti. Fra questi, però, vi sono alcuni illeciti per i quali l’elisione del danno o pericolo cagionato non può essere mai integrale: si pensi, a titolo esemplificativo, ai casi in cui le conseguenze prodottesi abbiano assunto una portata tale da porsi fuori dalla sfera di controllo dell’ente (così nel reato di falsità di monete ove l’immissione in circolazione delle stesse rende evidetemente difficoltoso, se non impossibile, l’eliminazione delle conseguenze del reato). Ecco che allora, è in questi casi che assume rilevanza l’espressione di cui si discorre in quanto idonea a consentire all’ente di beneficiare comunque della circostanza attenuante allorquando lo stesso ponga in essere un comportamento positivo quantomeno funzionale alla rimozione degli esiti lesivi dell’azione.

Di converso, risarcire il danno significa ristorare integralmente il soggetto leso per i pregiudizi subiti e tale situazione è sempre attuabile.

Pertanto, con la disposizione in esame il legislatore ha ammesso una riduzione della pena al ricorrere di tre simultanee condizioni: a) il risarimento integrale del danno, sempre possibile; b) l’eliminazione totale, ovvero quando non attuabile, parziale, delle conseguenze negative del reato; c) e, infine, l’adozione e l’attuazione di un modello organizzativo idoneo ad impedire la realizzazione di reati della stessa specie di quello realizzatosi.

Cass., Sez. IV Pen., 01 Giugno 2021 n. 21522 Pres. C. Menichetti Rel. M. Nardin