Nelle pronuncia in commento la Suprema Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di merito impugnata ritenendo che la stessa avesse erroneamente attribuito all’imputato la qualifica di soggetto “apicale” ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 5 comma 1° lett. a) D.lgs. 231/2001.
Occorre, in premessa, ricordare, infatti, come la responsabilità amministrativa da reato presupponga, per quanto qui di interesse, la commissione, nell’interesse o a vantaggio dell’ente, di un determinato illecito penale da parte di «persone che rivestono funzioni di rappresentanza, amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, nonché da persone che esercitano anche di fatto, la gestione o il controllo dello stesso».
Evidente, pertanto, a detta della Corte, come la norma di cui all’art. 5 comma 1° lett. a) D.lgs. 231/2001 non faccia espresso richiamo alle posizioni verticistiche in ambito lavoristico (quali datore di lavoro, dirigente e proposto) ma afferisca, in termini generali ed onnicomprensivi, alla persona che esprime la massima rappresentenza e gestione dell’ente-persona giuridica. In questa direzione, puntualizza ulteriormente la Corte, la nozione di “rappresentanza” rinvia a quell’insieme di poteri che, derivanti dal ruolo rivestito all’interno della compagine sociale e a prescindere da una espressa procura in tal senso, consentono di esprimere all’esterno e, pertanto, vincolare la volontà dell’ente rispetto a determinati atti; parallelamente, i concetti di “amministrazione” e “direzione” evocano, sotto il profilo funzionale, i poteri di indirizzo, organizzazione aziendale nonché di assunzione di decisioni attraverso le quali l’ente persegue le proprie finalità. A differenza del potere di rappresentanza, quello di direzione presuppone un atto di investitura con il quale al dirigente viene affidata l’intera organizzazione aziendale o una sua porzione e gli vengono conferite attribuzioni che, pur nel rispetto delle direttive programmatiche dell’ente, consentano al primo un ampio spazio di inziativa, discrezionalità ed autonomia tale da indirizzare il governo dell’azienda e di assumersene la relativa responsabilità.
Date queste definizioni, anche il giudice di merito aveva escluso che l’imputato, R.S.P.P. all’interno della Società, potesse essere considerato soggetto avente la rappresentanza, la direzione o il controllo dell’ente; ciononostante, la Corte d’Appello aveva ritenuto che la delega conferita al Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, tradizionalmente soggetto ausiliario del datore di lavoro, fosse a tal punto estesa e dotasse lo stesso di tali autonomi poteri decisionali, senza alcun ingerenza da parte dell’organo amministrativo, da attribuirgli un ruolo apicale all’interno dell’azienda e con specifico riguardo al settore della salute e sicurezza suoi luoghi di lavoro. In altri termini, in forza della procura, all’imputato era stato trasferito un ruolo di vertice all’interno della Società, assimilabile a quello del dirigente, e, pertanto, pur essendo sottoposto al potere di vigilanza del datore di lavoro e condizionato dal potere di revoca dell’investitura, lo stesso aveva assunto una posizione sovraordinata nello specifico settore di competenza, divenendo, per l’effetto, soggetto apicale ai sensi del D.lgs. 231/2001.
Di avviso nettamente contrario la Quarta Sezione della Suprema Corte di Cassazione la quale ha ritenuto che la suddetta interpretazione stridesse con la portata normativa di cui all’art. 5 comma 1° lett. a) D.lgs. 231/2001. Entrambi i giudici di merito, infatti, non si erano adeguatamente confrontati con la necessità che, ai sensi della richiamata dispozione, il soggetto autore del reato presupposto godesse di poteri di gestione dell’intero complesso aziendale o di una sua specifica unità organizzativa; circostanza questa che non poteva essere ravvisata in capo a colui al quale erano state delegate compiute compentenze in ambito antinfortunistico e non, certamente, l’intera gestione aziendale.
I giudici di primo e secondo grado, in sostanza, avevano indebitamente equiparato il potere del delegato alla sicurezza nonché RSPP di adottare autonome decisioni in tal ambito alla sua assunzione della veste di soggetto apicale ai sensi della disciplina sulla responsabilità amministrativa da reato. Sostiene la Corte di Cassazione, di converso, che l’autonomia decisionale costituisce, senza dubbio, requisito essenziale ai fini della validità della delega conferita a norma dell’art. 16 D.lgs. 81/2008 ma non consente, autonomaticamente, il trasferimento in capo al delegato delle funzioni di rappresentanza, direzione e/o gestione dell’ente né determina una relazione di immedesimazione organica tra il primo e quest’ultimo.
Conclude, quindi, la Corte annullando la sentenza impugnata e affermando i seguenti principi di diritto:
«ai fini della individuazione delle persone dotate di funzioni di rappresentanza, di gestione e di direzione dell’ente e di una unità organizzativa provvista di autonomia finanziaria, non può prescindersi dai criteri identificativi fissati dagli istituti dell’ordinamento giuridico generale e non quelli di un particolare settore come quello lavoristico, ivi compresi gli strumenti deputati alla costituzione ovvero al trasferimento di funzioni da soggetti verticistici, quali la procura»;
«A tale fine non può costituire elemento sintomatico della costituzione di una posizione verticistica ovvero direzionale lo strumento delineato dall’art.16 D.Lsv. 81/2008 che attiene al diverso ambito della delega di funzioni nel settore della prevenzione dei rischi in ambito lavorativo, che non determina il trasferimento della funzione datoriale, nella sua accezione gestionale e di indirizzo, né di regola, la costituzione di una posizione verticistica, ma risulta strutturato per sollevare il datore di lavoro da singoli incombenti in materia di sicurezza nel limitato ambito delle funzioni trasferite».
Cass. Pen., Sez. IV, 21 Settembre 2022 – Ud. del 24.05.2022 – n. 34943 Pres. S. Dovere Rel. U. Bellini