La quaestio iuris sottoposta al vaglio della Suprema Corte di Cassazione concerneva l’inquadramento giuridico del fatto di reato ascritto agli imputati e consistente nell’aver immesso in atmosfera polveri pericolose per l’incolumità pubblica. In particolare, in contestazione risultava essere la corretta interpretazione della disposizione di cui all’artl 674 c.p. la quale punisce da un lato, «chiunque getta o versa, in luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte ad affondere o imbrattare o molestare le persone» e, dall’altro, chiunque «nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti».
La difesa, nella specie, riteneva che l’articolo in esame non individuasse due autonome fattispecie di reato ma, al contrario, che la condotta di cui alla seconda parte dovesse intendersi quale species del più ampio genus del gettare o versare cose con la conseguenza che la clausola «nei casi non consentiti dalla legge» dovesse intendersi operante in ogni caso. Ne deriverebbe la insussistenza del reato addebitato per pieno rispetto delle prescrizioni imposte con l’autorizzazione integrata ambientale.
In prima battuta, la Seconda Sezione ha ribadito come la disposizione di cui all’art. 674 c.p. cristallizzi due diverse fattispecie criminose. Rispetto a queste, l’emissione di polveri doveva ritenersi sussumibile nel concetto di “gettare o versare cose” in quanto – contrariamente a quanto sostenuto da un proprio datato indirizzo – non era possibile equiparare il concetto di polvere a quello di fumo, essendo il secondo il prodotto di una combustione mentre la prima di un processo di frantumazione.
Ciò chiarito, la Corte ha, poi, precisato come, una lettura rigorosa della norma dovrebbe portare ad escludere l’operatività della clausola «nei casi non consentiti dalla legge» rispetto alla fattispecie di cui alla prima parte del’art. 674 c.p.. D’altro canto, la stessa non manca di rilevare come un suo precedente orientamento abbia, invece, ritenuto possibile estenderel’operatività della previsione in bonam partem anche alle ipotesi di emissioni diverse da gas, vapori e fumi con la conseguenza che qualora la diffusione venga realizzata da un’attività produttiva socialmente utile e, come tale, la diffusione sia legislativamente disciplinata, il reato non può dirsi integrato allorquando siano rispettati i limiti o le prescrizioni dettate dalla normativa vigente. In altri termini, quel che rileva ai fini della dichiarazione di insussistenza del reato è che la legge autorizzi l’emissione e non, invece, che questa promani da un’attività industriale regolamentata ed autorizzata.
Ecco perché gli imputati non potevano giovarsi, nel caso di specie, della menzionata estensione: le emissioni di polveri, originate nel corso dell’attività della centrale termoelettrica, lungi dall’essere consentite dalla legge, erano, invece, vietate e sottoposte dalla normativa applicabile a misure di cautela e prevenzione molto rigorose.
Cass. Pen., Sez. II, 05 Febbraio 2021 – Ud. del 01.10.2020 – n. 4633