News Ambiente – In tema di qualificazione delle “terre e rocce da scavo” come sottoprodotti, l’elencazione delle operazioni da considerarsi “normale pratica industriale” non è esaustiva

La disciplina inerente alla gestione delle terre e rocce da scavo è oggi contenuta nel D.P.R. 120/2017; per quanto qui di interesse, il citato Decreto, in piena continuità con la previgente normativa, chiarisce come le operazioni con cui possono essere trattate le terre e rocce da scavo al fine di essere qualificate come sottoprodotti devono rientrare nella normale pratica industriale e come tali siano da intendersi  «[..]quelle operazioni, anche condotte non singolarmente, alle quali possono essere sottoposte le terre e rocce da scavo, finalizzate al miglioramento delle loro caratteristiche merceologiche per renderne l’utilizzo maggiormente produttivo e tecnicamente efficace. [..] L’allegato 3 elenca alcune delle operazioni piu’ comunemente effettuate, che rientrano tra le operazioni di normale pratica industriale». Più nello specifico, il citato allegato prevede che «Tra le operazioni piu’ comunemente effettuate che rientrano nella normale pratica industriale, sono comprese le seguenti», procedendo poi con un’elencazione che, a differenza del previgente D.M. 161/2012, non viene indicata come meramente esemplificativa.

Da qui il dubbio circa il numerus clausus delle operazioni così qualificabili.

Nella pronuncia in commento la Suprema Corte di Cassazione ha, però, sostenuto come il riferimento alle operazioni più comunemente effettuate debba indurre a qualificare l’elencazione di cui alla disciplina in vigore come meramente esemplificativa, con conseguente possibilità di ricondurre all’alveo dei trattamenti rientranti nella normale pratica industriale anche altre operazioni, non previste nell’allegato, che si pongano come obiettivo il miglioramento delle caratteristiche merceologiche delle terre e rocce da scavo al fine di renderne l’utilizzo maggiormente produttivo ed efficace e senza alterarne le caratteristiche originarie. Diversamente argomentando, a detta della Corte, la legge italiana si porrebbe in contrasto con le dispozioni europee e con la loro costante interpretazione.

Sotto altro punto di vista, la Corte ha, inoltre, chiarito come la sussistenza dei requiti idonei a qualificare le terre e rocce da scavo come sottoprodotti deve essere accertata dal giudice di merito sulla base di dati fattuali e non può essere provata, da colui che ne invoca l’applicazione, sulla base di meri contenuti cartolari o atti similari. E ancora: il giudice di merito può valutare la validità ed efficacia dei relativi titoli abilitativi.

Per completezza espositiva, si rappresenta come, nella sentenza in commento, la Corte abbia colto l’occasione per ribadire anche ulteriori principi di diritto afferenti a tematiche diverse da quella sinora affrontata. Nello specifico, si è sancito che:

  • Il personale ARPA nello svolgimento di funzioni di vigilanza e controllo riveste la qualifica di polizia giudiziaria in ragione delle competenze attribuitegli dalla normativa legislativa e regolamentare vigente e della loro riferibilità alla tutela di un bene costituzionalmente rilevante e penalmente protetto; inoltre, l’attività in tale veste svolta differisce da quella di ausilio tecnico agli agenti o ufficiali di polizia nonché da quella meramente ispettiva, rispetto alla quale assumono rilevanza gli artt. 220 e 223 disp. att. c.p.p.;
  • La particolarità degli accertamenti ambientali e la complessità delle operazioni, anche di natura tecnica, conseguenti giustifica l’adozione da parte dell’autorità procedente di atti giuridici molto articolati i quali facciano riferimento a più istituti disciplinati dal codice di rito contemperando, da un lato, le garanzie di difesa dell’indagato o imputato e, dall’altro, l’esigenza investigativa dell’organo di accusa;
  • L’attività di gestione abusiva o irregolare di una discarica comprende anche la fase di gestione post-operativa della stessa; pertanto, la permanenza del reato cessa o con l’ottenimento della richiesta autorizzazione ambientale, o con la totale rimozione dei rifiuti e/o bonifica dell’area, o con l’esecuzione del sequestro o con la sentenza di primo grado.

 Cass. Pen., Sez. III, 15 Marzo 2021 – Ud. del 19.01.2021 – n. 9954