Occorre, in premessa, anticipare come, a norma dell’art. 452quaterdecies comma 4° c.p., in piena continuità normativa con il disposto di cui al precedente art. 260 D.lgs. 152/2006, il giudice, nel caso in cui dal reato sia derivato un danno all’ambiente, ordina, con sentenza di condanna, adottata anche nelle forme di cui agli artt. 444 e ss. c.p.p., il ripristino dello stato dell’ambiente, potendo subordinare la sospensione condizionale della pena alla previa eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose.
A parere della Terza Sezione della Suprema Corte di Cassazione, il summenzionato ordine di ripristino ha natura di sanzione amministrativa accessoria che deve essere applicata, per espressa previsione legislativa, dal giudice penale. Ne deriva, ulteriormente, l’infondatezza della censura difensiva: la Corte d’Appello, pur accogliendo la pena statuita tra le parti in sede di concordato preventivo, ha correttamente applicato, pur in assenza di previsione pattizia, la sanzione amministrativa accessoria di cui all’art. 452quaterdecies c.p., obbligatoria ex lege. Non vi è stata, pertanto, alcuna violazione del divieto di reformatio in pejus.
Di converso, richiamando propri precedenti giurisprudenziali, il Collegio ha ritenuto fondata la contestazione della difesa inerente alla mancata motivazione, da parte del giudice d’appello, circa la sussistenza dei requisiti applicativi dell’ordine di ripristino. Il reato di “attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti”, infatti, non prevede, fra i suoi elementi costitutivi il danno ambientale che, solo laddove realizzatosi come conseguenza accidentale dell’illecito, obbliga il giudice a disporre l’ordine di ripristino; quest’ultimo, quindi, avrebbe dovuto motivare circa la sussistenza del danno ambientale.
Cass. Pen., Sez. III, 19 Ottobre 2022 – Ud. del 15.09.2022 – n. 39511 Pres. G. Liberati Rel. A. Di Stasi