News Ambiente – L’esclusione dalla disciplina dei rifiuti prevista dall’art. 185 comma 1° lett. c) D.lgs. 152/2006 non ammette il riutilizzo delle terre e rocce da scavo in siti che non siano continui e abbiano, addirittura, diversa destinazione

Occorre necessariamente premettere come la questione fattuale sottesa alla presente pronuncia vedesse la Società ricorrente impegnata in opere di arredo, pavimentazione e verde di accesso assunte in appalto e da cui originavano terre e rocce da scavo; queste, poi, venivano trasportate in un’area posta a 500 metri di distanza dal cantiere di origine e impiegate per attività di livellamento di terreno con riporto di materiale vegetale.

In forza di tale condotta, l’ente era stato imputato e condannato per l’illecito amministrativo di cui all’art. 25undecies comma 2° lett. b) D.lgs. 231/2001 derivante dal reato di gestione non autorizzata di rifiuti. In particolare, ambo i giudici di merito avevano sostenuto l’inoperatività della disposizione di cui all’art. 185 comma 2° lett. c) D.lgs. 152/2006 in virtù della quale non costituisce rifiuto «il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato»: «nel caso in esame deve escludersi che lo spostamento della terra e della roccia da scavo sia consistita in una mera movimentazione di terreno all’interno della “medesima area”: si è trattato, al contrario, di un vero e proprio trasporto di materiale da una zona ad un’altra (se pure poste a distanza di solo 500 mt) nelle quali erano in corso opere diverse».

Contestando suddeto assunto e, conseguentemente, la sussistenza del reato presupposto di cui all’illecito amministrativo, la difesa dell’ente aveva contestato in sede di ricorso la definizione di “sito” fornita dalla Corte Territoriale in forza della quale tale sarebbe da intendersi «uno spazio perimetrato, delineato e di dimensioni tali da implicare le sole attività di movimentazione e non anche quelle di trasporto».

Di avviso contrario agli assunti della ricorrente la Suprema Corte di Cassazione che, confermando l’orientamento dei giudici di merito, ha ribadito come la nozione di sito quale area o porzione di territorio geograficamente definita, determinata oppure perimetrata appartenga al diritto penale dell’ambiente e non consenta di considerare “medesimo sito” «distinte ed autonome porzioni di territorio che, benché ricadenti nel medesimo comune e non distanti tra loro, non siano contigue e abbiano addirittura diversa destinazione».

La ratio della disciplina derogatoria poggia sull’esclusione dalla qualificazione di rifiuti di un bene che tale sarebbe considerato se non fosse «destinato alla temporanea conservazione nello stesso luogo di produzione per essere ivi riutilizzato come sottoprodotto senza necessità di trattamento o di attività di gestione». E considerando che tra le attività di gestione è pacificamente ricompreso anche il trasporto, già solo la necessità di movimentare il materiale in due luoghi diversi implica l’inoperatività, nel caso di specie, dell’eccezionale ipotesi di cui all’art. 185 comma 1° lett. c) TUA.

D’altro canto, interpretare l’art. 185 D.lgs. 152/2006 alla stregua di quanto proposto dalla difesa importarebbe un’abrogazione tacita della disciplina di cui al D.P.R. 120/2017 la quale, in effetti, in caso di riutilizzo delle terre e rocce da scavo in un sito diverso da quello di produzione, come avvenuto nel caso di specie, ammette comunque la qualificazione delle prime come sottoprodotti purché vengano rispettati determinati requisiti.

Cass. Pen., Sez. III, 21 Giugno 2023 – Ud. del 16.03.2023 – Pres. L. Ramacci – Rel. G. F. Reynaud – n. 26805.